Tra Cielo e Terra

In principio furono il Cielo e la Terra e tutto quello che vi si trovava nel
mezzo era stato creato. Da quel momento in poi tutto quello che venne
dopo fu generato.
Il cielo è la vetrina delle stelle, è la cornice dell’universo, dei sogni e delle
fantasie. Durante il giorno ospita la luce e la sua rifrazione lo colora di
celeste, durante la notte assomiglia ad un puntaspilli, ed ognuno di loro
riflettendo la luce splende.
La Terra è la madre di ogni cosa, sprizza energia, trasforma il calore in
vita, è la casa di tutti noi, ci dà forza e risorse è calda ed accogliente.
Il cielo nutre la terra con la pioggia, il vento ed i fulmini, la terra accoglie
l’acqua e la nasconde nelle sue recondite profondità; il vento ne modella
la superficie ed insieme all’acqua ne scolpisce la faccia, i fulmini ne
ricaricano l’energia positiva.
Intere generazioni hanno calpestato la Madre Terra, sfruttata,
conquistata, contesa, saccheggiata dalle risorse, eppure ad ogni nuovo
giorno lei ha continuato ad ospitare amorevolmente i suoi figli, gli uomini, gli animali e le piante. Ha dato loro una casa, un riparo uno scopo di vita.
Allo stesso modo il cielo è tormentato da inquinamento, scie chimiche,
gas serra, conquistato dagli uomini con aerei, razzi e satelliti, eppure
concede sempre ai sui figli ciò di cui hanno bisogno per vivere.
Il cielo e la terra si toccano, e non è dato sapersi dove finisce l’una e
comincia l’altro. Il confine è invisibile ed è concepito solo dagli uomini,
solo questi sono così sciocchi da mettere dei confini su ogni cosa.
Ogni giorno gli uomini affrontano la vita, si muovono, mangiano,
interagiscono, consumano, utilizzando le risorse che la Madre gli fornisce e respirano, inquinano, immettono gas nell’atmosfera, utilizzando anche le risorse che il cielo gli offre.
Eppure la Terra ed il Cielo erano li prima dell’uomo, e si sono sempre
messi a disposizione disinteressatamente, senza chiedere niente in
cambio.
Così gli uomini, gli esseri più approfittatori dell’universo potrebbero
convincersi di avere l’universo in pugno, di poterlo tenere sul palmo della
mano, e magari i chirologi, gli studiosi della mano potrebbero convincersi attraverso il suo studio, di scoprire altri segreti dell’universo.
Così nella chirologia si impara a leggere la mano; alle parti carnose del
palmo sono stati dati nomi che corrispondono ai nomi dei pianeti, quindi
possiamo osservare ad esempio il monte di Venere, di Apollo, di Saturno,
di Mercurio o di Giove, e alle linee presenti sono assimilate la vita, il
cuore, il destino, e secondo la chiromanzia sono segni infallibili della sorte dell’uomo.
Se facessimo di una nostra mano il cosmo, all’interno del suo palmo
potremmo distinguere due punti molto importanti; il primo si trova,
immediatamente sotto l’intersezione tra l’indice ed il medio, il secondo si trova nel tallone della mano in corrispondenza dell’avvallamento che
troviamo tra il monte del pollice e l’attaccatura del polso; questi 2 punti
vengono tradizionalmente chiamati nella cultura orientale Ten e Chi, Cielo e Terra per noi occidentali. La cosa stupefacente è che questi due punti seguono idealmente quella che è tradizionalmente chiamata linea della vita.
Ora senza volere provare a leggere la mano, ammesso che si creda a
questa pseudoscienza, questa trasposizione ci rivelerebbe che tra il cielo
e la terra si svolge la vita dell’uomo; sempre con i piedi per terra e con la
testa rivolta al cielo, con le radici ancorate al suolo e la testa perennemente tra le nuvole.

La scienza ha una risposta per tutto

la scienza ci ha rivelato segreti che prima non potevamo conoscere, e
tutto quello che è venuto prima della scienza erano solo superstizioni.
Fin dalla creazione del mondo, quando era il Kaos e Gea irruppe nella
zuppa primordiale generando il cielo, la terra ed il mare, i popoli primitivi
cercavano di darsi una spiegazione della loro esistenza affidandosi a
qualcosa che non potevano comprendere, ma che potevano percepire.
Non avevano alcuna conoscenza scientifica, ma indagavano i segreti del
cosmo e dell’essere umano, tutto quello che non riuscivano a spiegare, lo
rimandavano al volere degli dei.
Questo valeva, per la vita e per la morte, per la pace e per la guerra, per
l’alternanza del giorno e della notte, e per qualunque altra cosa, dalla più
piccola e insignificante alla più influente ed importante, che poteva
capitare loro in ogni istante della vita. Se si fosse trovata una bella ragazza
da rapire, sarebbe stato il volere degli dei, allo stesso modo se cacciando
si fosse presa una grossa e succulenta preda.
Eppure le conoscenze acquisite giorno dopo giorno, anche se tramandate
oralmente, hanno dato la possibilità agli uomini di proliferare e di
conquistare porzioni di terra sempre più vaste, di evolvere e di aumentare
le loro capacità organizzative e di civilizzazione, di coltivare i campi e di
costruire città.
Si trattava di conoscenze essenzialmente pratiche, basate su abilità
manuali, ma che portarono alla nascita di civiltà evolute come quella
indiana, mesopotamica, egiziana, e più tardi greca e romana.
La nascita della scrittura permise la conservazione della conoscenza,
facendo sì che niente andasse perso, quindi la trasmissione della cultura
divenne più accurata e diede la possibilità ad alcune persone di
affrancarsi da lavori esclusivamente di tipo manuale e di dedicarsi ad
attività più intellettuali, dando impulso allo studio dell’astronomia, della
medicina della matematica e di altre discipline.
Nasce così l’interesse dell’uomo per la ricerca, sia che si tratti di capire le
leggi che regolano i fenomeni naturali, sia le forme teoriche da cui si
possono dedurre per via matematica o geometrica tutte le manifestazioni
dell’energia dell’universo.
Con la rivoluzione scientifica del XVI secolo nacque un ambiente adatto
per mettere in discussione la dottrina, e si cominciò a fare strada il
desiderio di verificare le verità fino ad allora indiscutibili e cercare le
risposte alle nuove domande che sorgevano.
La scienza quindi diviene fondamentale per il progresso e così la strada
per conoscere il mondo che prima era dettata dagli Dei venne
abbandonata e le domande cominciarono ad essere poste agli scienziati,
che indagando trovavano una risposta per tutto.
Ma ad avere tutte le risposte a volte si perde un pò della poesia che è il
sale della vita. Ad esempio, alla domanda “perché ci innamoriamo” prima
avremmo risposto: “perché nel mondo ci sono anime gemelle che si
cercano incessantemente per completarsi e raggiungere la perfezione”,
ora invece diciamo che: “l’aumento della dopamina nell’organismo
produce una reazione chimica che manda un segnale al nostro cervello”.
Sono due modi di vedere la cosa; il primo rimandando a qualcosa che è
indipendente dalla nostra volontà, nel lasciarsi guidare all’eterna ricerca
dell’amore della vita, la seconda visione è quella di una reazione chimica
che dipende dal nostro corpo ed in questa reazione non vi è posto per un
intervento che non possa essere spiegato con la chimica.
Comunque non tutto è perduto ed a volte anche gli scienziati hanno
bisogno di ricorrere a delle formule che richiamano Forze superiori come
facevano i nostri progenitori richiamando l’intervento degli Dei mitologici;
infatti l’universo è un luogo pieno di stelle e di pianeti fatto di particelle,
protoni, elettroni ma anche costituito da una buona parte di materia
oscura.
Oscura, non perché il suo colore non sia chiaro, ma perché poco
conosciuta e solo ipotizzata, rilevata solo per i suoi effetti, teorizzata per
giustificare altre leggi che regolano l’universo.
Allora ecco che la scoperta di una nuova particella grazie alla quale ogni
cosa ha una massa ed una materia così come la conosciamo diventa “La
Particella di Dio”.
Quindi cercando una cosa, della cui esistenza siamo certi, perchè
osserviamo la sua influenza sulle altre particelle, grazie ad essa ogni cosa
esiste come la conosciamo e che giustifica le leggi dell’universo, troviamo
la risposta in quello che la scienza non può spiegare e come facevano i
popoli primitivi, la giustifichiamo con l’intervento di Dio.
Mi piace pensare che la scienza abbia una risposta per tutto, anche a
costo di trovarla “oscura” e di dover ammettere che senza la “Forza” che
tiene insieme l’universo come noi lo conosciamo, non staremmo qui a
parlarne.

Il potere di un abbraccio

L’uomo è un essere senziente, ha cioè la capacità di esprimere e di
recepire sensazioni.
L’emergere delle sensazioni, travolge con impeto l’anima di chi le
accoglie, provoca sgomento e turbamento, riempie il cuore.
L’abbraccio è un gesto primordiale, è un bisogno istintivo del bambino
alla nascita; i neonati infatti hanno una innata tendenza a ricercare la
madre, pur non essendo in grado di metterne a fuoco il volto, ne sentono
l’odore e allungano le braccia ed il collo nella ricerca del seno materno. È
quindi una necessità, un bisogno fisico, come bere o mangiare, respirare o
dormire.
Alla nascita, la Mamma che accoglie con un abbraccio il figlio, gli
trasmette calore, protezione ed amore. I due corpi stretti l’uno all’altro
sprigionano energia positiva e nei primi mesi sono talmente in sinergia da
essere dipendenti l’uno dall’altro, quasi ad essere due parti della stessa
unità. Quando Il figlio comincia a muovere i primi passi è l’abbraccio del
Padre che lo rende sicuro, che lo protegge dai perigli della vita e lo mette
in guardia dalle insidie. È il Padre che ritornando a casa dopo il lavoro lo
aspetta sul ciglio dell’uscio per dare e per ricevere un abbraccio, per
trasmettere con il calore del corpo, ciò che ha nel cuore.
Le interazioni del Padre e della Madre con il figlio, hanno un ruolo
fondamentale nel coinvolgimento del neonato, nel suo sviluppo e nella
sua crescita. Gli abbracci tramessi dai genitori, permettono ai bimbi di
acquisire più competenze cognitive e motorie, di godere elevati livelli di
salute fisica e mentale, e di essere più sicuri di sé, curiosi ed empatici.
Per donare un abbraccio, bisogna allargare le braccia, aprire le mani e
tendere le dita, porgere il petto, assumere una espressione del viso
serena ed accogliente; tutto in queste movenze è sinonimo di
trasmissione di energia e connessione che lega spiritualmente. Allargare
le braccia e tendere le mani verso l’altro è un segno di aspirazione, un
proponimento appassionato di connettere il se con l’altro e di accoglienza
sincera. Nel porgere il petto, senza barriere senza paura, lasciandosi
andare con la massima fiducia, porgendo il cuore all’altro si assume un
atteggiamento di fiducia profonda che produce un sentimento di
speranza, sicurezza e tranquillità. L’espressione del viso, che può essere di
amore, di tenerezza, di passione, di sostegno, di complicità è in grado, di
perdonare, di consolare, di trasmettere amore profondo, può esprimere
molto di più e meglio di tante parole.
Nella maggior parte delle culture gli abbracci sono considerati una
espressione generica di affetto, che può essere praticata anche in
pubblico, senza essere considerata inopportuna. Anzi gli abbracci sono
spesso contagiosi e terapeutici e generano sensazioni ed energia positiva
in coloro che vi assistono o che vi sono coinvolti.
Vi sono alcune evidenze scientifiche che dimostrano come gli abbracci
portino dei benefici a livello fisiologico, infatti sembrerebbe che durante
gli abbracci aumenti il livello di ossitocina e diminuisca la pressione
sanguigna; riducono l’ansia e lo stress, riducono il senso di solitudine,
favoriscono il buonumore e rinforzano i legami, rafforzano il sistema
immunitario, aiutano a tenere sotto controllo la frequenza cardiaca ed il
flusso del sangue, proteggono il cuore dalle malattie cardiovascolari,
quindi se non altro possono essere un ottimo toccasana.
È comunque provato che gli abbracci donano pace, amore e serenità,
sono la strada più diretta e veloce per connettersi al livello più profondo
con gli altri, sono un dono prezioso, sprigionano energia positiva
coinvolgente e sono un luogo magico da esplorare.
Donate abbracci e trasmettete le vostre emozioni, abbandonatevi,
chiudete gli occhi e respirate, il vostro cuore ve ne sarà grato.

Segmento o conflitto

Un segmento è la porzione di una retta che passa per due punti? O è la
porzione di una retta che dopo avere fatto infiniti tentativi in ultimo ha
incontrato due punti?
La risposta pare ovvia, certo lo insegnano in geometria, il segmento è la
porzione di una retta compresa tra due punti. Ma la Matematica è una
scienza esatta 2 + 2 fa sempre 4.
Nella realtà non è poi così semplice, non sempre ciò che pare ovvio è
anche corretto e qualche volta 2+2 fa anche 3.
Allora un segmento potrebbe essere una porzione di una retta che
partendo da un punto provando infinite volte ed infinite direzioni
finalmente intercetta il secondo punto. Quindi in questo caso si potrebbe
dire che benchè il risultato sia lo stesso, vi si è giunti attraverso infiniti
errori.
È il punto di vista che è cambiato; nel primo caso la retta, nella sua
perfezione ed accuratezza intercetta i due punti e la parte compresa tra
loro compresa viene nominata segmento. Nel secondo caso la retta nella
sua naturale linearità, facendo innumerevoli tentativi, allungandosi
all’infinito, finalmente trova il secondo punto, quindi la porzione tra i due
punti, come nel primo esempio viene nominato segmento.
Riportando il paragone a qualcosa di più intuibile nella sfera della vita,
potremmo dire che è corretto indicare che il conflitto è una cosa brutta,
in quanto per assunto, siamo certi che lo stesso genera paura dell’ignoto,
perdita della sicurezza, aggressività, stress e tutta una serie di
conseguenze nefaste. Questo è l’approccio scientifico a questa
considerazione.
Proviamo ora a cambiare il nostro punto di vista; chi può dire che il
conflitto non sia un’opportunità? La particolare interazione sociale in cui
ci troviamo a fare esperienza di incompatibilità con gli altri, negli scopi o
nelle situazioni, certamente ci provoca stress, aggressività ansia e panico
ma, ci pone anche in condizione di metterci in discussione, di varcare la
nostra confort zone, ci fa superare gli ostacoli e sfidare l’ignoto. Potrebbe
essere che provando infinite volte e facendo infiniti errori, possiamo
trasformarci in qualcosa di più evoluto? è possibile che il conflitto sia
l’insegnate più prodigo di consigli?
Ogni conflitto ha infinite possibilità. In un approccio scientifico a questa
considerazione, vi sarebbe solo una possibilità, e cioè quella che passa per
due punti, due momenti, il suo inizio e la sua fine, certo considerando
tutto ciò che vi è tra l’inizio e la fine, ma non altro.
Vi propongo di esplorare tutte le altre infinite possibilità che potrebbero
esserci e che potrebbero verificarsi nel tentativo di arrivare comunque
alla fine.
Ognuna di queste infinite strade potrebbe portare insegnamenti efficaci
ed utili, in pratica è come se si avanzasse su una scacchiera, per errori. Ad
ogni errore si avanza di una posizione, ci si ferma, si metabolizza, si
apprende, si valuta a volte si torna indietro e poi ci si dispone per la
mossa successiva. Ad ogni mossa corrisponde un errore e ad una
possibilità di apprendimento.
Noi siamo capaci di apprendere dai nostri fallimenti e dai nostri errori,
questa capacità è quella che ci ha permesso di evolverci dalla preistoria
ad oggi, di andare sulla luna e sotto gli oceani, di conquistare le vette più
alte e di trovare le particelle subatomiche.
Bisogna guardare ad ogni conflitto come un’opportunità, bisogna
esplorare e sbagliare. Più si sbaglia più si cresce e si comprende qual è la
giusta direzione. Una esistenza senza errori, che ci conduca dal punto di
partenza al punto di arrivo senza deviazioni, non è interessante, non è
istruttiva, non è accettabile. Solo un’esistenza piena di errori, di
deviazioni, di incomprensioni, di varianti e di aggiustamenti di rotta, vale
la pena di essere vissuta.

Il Mondo duale

Noi viviamo in un mondo dove gli opposti si attraggono, l’uno non
potrebbe esistere senza l’altro, sono complementari e si arricchiscono a
vicenda.
Così il bello ed il brutto, il freddo ed il caldo, il conscio e l’inconscio, sono
parte di una cosa unica, che contiene in sè tutti e due i principi. La
differenza sta solo nella gradazione dell’uno e dell’altro. Infatti ambedue i
principi stanno ad indicare la stessa cosa, solo con una diversa
gradazione, in pratica si trova ai due poli della stessa scala di misura. E’
indubbio che l’uno senza l’altro non avrebbe utilità, non potrebbe
dimostrare la sua esistenza, non “sarebbe”.
“Sarebbe” nella sua essenza, di verbo essere; intendo infatti usare il verbo
essere perché in esso è per me contenuto il principio oggettivo di
esistenza. Esisto dunque sono.
Se l’uno, nella sua dose sia maggiore dell’altro, o minore è poi lasciato alla
sensibilità del giudice, che essendo soggettiva può recepire in modo
differente la gradazione e trarne il maggiore o minore piacere o
godimento.
Se ogni cosa nel nostro mondo ha il suo lato positivo ed il suo lato
negativo, il dritto ed il rovescio, il destro o il sinistro, l’oscuro o il
manifesto, allora, è il punto di vista di chi giudica che diventa
fondamentale per stabilire quale sia la percezione che ne ha lo stesso.
Assunto che ogni cosa bella, contiene in sé una parte brutta e per lo
stesso assioma ogni cosa negativa ne contiene al suo interno una positiva,
ed è solo il punto di vista che ci fa giudicare la sua bellezza o positività, o
al contrario la bruttezza o la sua negatività, allora chi può assumersi la
responsabilità di dire con assoluta certezza che una cosa è bella o brutta,
positiva o negativa?
I canoni della bellezza, non sono soggettivi? Non sono cambiati attraverso
i secoli? Non sono percepiti in modo diverso nel mondo occidentale e nel
mondo orientale? Il Diluvio universale che è nella memoria e nei miti di
tutti i popoli del pianeta sarebbe stato un evento funesto e negativo, che
avrebbe cancellato molti popoli, o un’occasione per la rinascita, dal
momento che si sarebbero salvati solo pochi uomini, quelli buoni, giusti,
pii, scelti dalla divinità per dare origine a un nuovo genere umano?
A volte siamo tristi perchè in quello che ci accade tendiamo a percepire la
parte che la nostra sensibilità reputa negativa, e questo ci fa stare male;
ma se riflettiamo e ci rendiamo conto che stiamo osservando la parte
della scala più vicina ad un polo rispetto che all’altro, e che in ogni cosa
negativa ne è contenuta una positiva, possiamo cambiare punto di vista
ed essere felici.
Siamo noi gli artefici della nostra vita; in ogni cosa che facciamo,
pensiamo o diciamo, e dobbiamo ricercare sempre la parte che più ci
rende completi, sereni e felici.
Quindi giunto al termine di questa disamina, devo rivedere il mio assioma
iniziale; noi viviamo in un mondo duale, dove ogni cosa ha il suo opposto
ed insieme fanno un unicum indivisibile, i due opposti si attraggono, e si
cercano incessantemente.
Ma visto che questa dualità non esisterebbe se non ci fosse un terzo polo
di attrazione, che a mio avviso è il punto di vista di chi giudica attorno al
quale ruota la perfezione del creato, preferisco pensare che noi viviamo
in un mondo perfetto dove ogni cosa è nel giusto equilibrio; di questo
mondo noi siamo il centro e tutto ruota intorno a noi, bisogna solo
allenare la nostra sensibilità a percepire quello che ci rende felici.

La voce della Coscienza

La coscienza è la facoltà di comprendere, analizzare, valutare e
dare una risposta comportamentale adeguata, ai fatti che si
verificano secondo quanto è stato già appreso durante le
esperienze individuali; l’uso della coscienza necessita a volte di
valutazioni di carattere morale.
La Coscienza implica essere consapevoli per riuscire a identificare
le sensazioni che ci provocano gli stimoli che riceviamo.
Etimologicamente Il termine coscienza deriva dal sostantivo
latino conscientia, a sua volta derivato del verbo conscire, cioè
“essere consapevole, essere conscio”, quindi i nostri padri avevano
già capito che per assumere conoscenze bisognava essere
consapevoli.
Quindi secondo me, bisogna imparare ad osservare con gli occhi e
con il cervello, sentire con le orecchie e con il cuore, toccare con le
mani e con le parole.
Quello che noi vediamo è acquisito mediante gli occhi solo per il
50%, la restante parte è composta da segnali elettrici che vengono
rielaborati nel nostro cervello in base alle nostre conoscenze per
ricostruire un’immagine verosimile, queste due parti si fondono
insieme in un’immagine unica che per noi è vera e convincente.
Ascoltare attraverso le orecchie è utile solo parzialmente, si
possono sentire solo le vibrazioni ed i suoni delle parole, ma la
percezione che nasce dal cuore, è quella che va oltre; è quella che
sente davvero, che ascolta senza filtri, senza giudicare; è l’intesa
che si connette sulla stessa lunghezza d’onda, che si dispone
premurosamente all’ascolto.
Le nostre mani parlano, trasmettono emozioni, rabbia, dolore, gioia,
attraverso loro è possibile leggere nell’anima; allo stesso modo le
parole possono sfiorare, carezzare o colpire. Possono consolare,
possono aiutare, possono fare del bene e fare del male, anche loro
in base a ciò che abbiamo appreso ed elaborato nel corso della
nostra vita.
Essere consapevoli dunque, significa avere una coscienza, che
viene alimentata da sensazioni, sentimenti e osservazioni, e ci
suggerisce in ogni momento quale deve essere la nostra risposta.
Ed elaborare in modo positivo le esperienze, aiuta la nostra
coscienza a dare risposte moralmente corrette.
Ognuno degli stimoli che ci arriva ha in se una parte positiva ed una
parte negativa, noi possiamo elaborarli ambedue, ma a mio avviso,
prendendone la parte negativa non faremmo altro che attivare nel
nostro cervello i meccanismi di difesa, che ci fanno chiudere in noi
stessi, che ci isolano, che non ci danno la possibilità di assaporare
la pienezza della vita. Elaborando le informazioni, nella loro
componente positiva, ogni volta che guardiamo qualcuno o
qualcosa, il nostro cervello riscostruirebbe l’immagine con
informazioni positive, il nostro cuore, sarebbe disponibile all’ascolto
e le nostre parole sarebbero di comprensione, di conforto e di
stimolo. Bisogna essere consapevoli che si vive molto meglio se
vediamo cose positive più che cose negative e se manteniamo in
sintonia quello che proviamo con quello che facciamo.
Per questo motivo fare del bene fa bene.

Il Potere della Mente

Il nostro cervello è una banca dati infinita, consente di salvare milioni di informazioni, catalogarle, registrarle e ordinarle, per poi tirarle fuori al momento giusto. E’ una capacità inconscia, noi apprendiamo inconsapevolmente; Il Cervello è costituito da milioni di neuroni interconnessi, in grado di regolare ognuna delle funzioni del corpo e della mente; le informazioni che lo stimolano arrivano attraverso diversi canali. I nostri sensi sono il veicolo principale, la vista, l’olfatto, il tatto, l’udito, il gusto e moltissime volte le informazioni vengono raccolte attraverso più di uno di loro.

Le informazioni che immagazziniamo sono necessarie alla nostra vita, ed utili per la nostra crescita, ma a volte troppe informazioni formano un ingorgo. I canali attraverso i quali passano possono non essere adeguatamente capienti, allora l’apprendimento delle informazioni rallenta, ed esse come auto incolonnate in una strada durante la partenza per il week end attendono il momento per essere immagazzinate.

Sono questi i momenti nei quali possiamo sentirci sopraffatti; troppe informazioni, troppo velocemente, troppo pesanti, troppe immagini, troppi odori, troppi rumori. Il nostro cervello mette in atto un meccanismo di difesa ancestrale, tramandato da tempi immemori: Mal di testa, ansia, paura, confusione, sensazione di inadeguatezza.

Una strategia inconscia che elaboriamo per “fuggire” dal dolore psicologico della fatica cerebrale, prodotta dalla molteplicità degli stimoli, che potrebbe essere risolta, focalizzando il problema, liberando la mente dagli stimoli superflui; ma frequentemente non affrontiamo il problema in modo diretto e costruiamo sovrastrutture per nasconderlo.

Possiamo decidere di dare una risposta razionale, possiamo pensare che non sia colpa nostra, o pensare che certe cose accadano solo a noi, possiamo tentare di imitare quello che fanno altre persone, sperando di vincere le proprie paure o insicurezze, o negare che possa accadere.

La realtà è che noi viviamo sempre in una proiezione di noi stessi, al passato o al futuro, nella consapevolezza solo di ciò che abbiamo fatto o di ciò che faremo.

Nella vita di tutti i giorni il qui ed ora non è contemplato dal nostro cervello, siamo inconsapevolmente fragili nel non avere certezze del futuro, e siamo consapevolmente nostalgici del passato. Ma è ora che dobbiamo vivere con pienezza la vita e fare scorrere i nostri pensieri, catturare le informazioni, immagazzinare le conoscenze.

Fermiamoci, prendiamo un po’ di tempo per noi stessi, liberiamo la mente e fissiamoci sul nostro respiro. Sediamoci come una montagna, forte, imponente, accogliente, lasciamo scorrere l’energia che dalla terra attraversa il nostro corpo come l’acqua che sgorga da una fonte, e si fa strada tra le rocce ed i cespugli, guardiamola espandersi nell’universo. Ascoltiamo il nostro respiro e liberiamo la mente. In questo momento stiamo vivendo, siamo consapevoli e presenti; il passato ed il futuro sono solo illusioni, il primo è già stato e non possiamo più modificarlo, il secondo deve ancora accadere e saremo noi a modellarlo.

Vivere nel passato o nell’attesa del futuro ci fa trascurare la bellezza del momento presente, del qui ed ora che è nello stesso momento passato, presente e futuro.

Quando la nostra mente và oltre il presente fermiamoci e respiriamo, porre attenzione al qui ed ora, significa non solo vivere in uno stato libero da stress e preoccupazioni ma anche vivere nell’unica dimensione temporale nella quale si svolge la vita vera.

Il saluto nel paese del Sol Levante

Dopo avere fatto una serie di considerazioni sul saluto, sento il
bisogno di esplorare meglio, le differenze che vi sono tra quello che
si esegue nel mondo occidentale, di cui ho già avuto modo di
parlare e quello che si esegue nel mondo orientale e
specificatamente nel paese del sol levante.
In particolare, in Oriente si saluta qualcuno, congiungendo le mani
e facendo un inchino, mentre in Occidente si stringe la mano.
Partiamo dal fatto che congiungere le mani è un gesto da sempre
associato all’atto della preghiera, e per le varie religioni questa è
una semplice azione colma di significato. Quindi questo semplice
gesto nasce in un contesto di grande spiritualità.
Il monaco buddhista giapponese Shunmyo Masuno spiega questo
gesto millenario con poche, sagge parole:
“Unendo i palmi delle mani, stimoliamo un senso di grande
gratitudine. Non c’è spazio per il conflitto. Non possiamo attaccare
qualcuno quando abbiamo le mani giunte, no? Una scusa offerta in
questo modo placa subito la rabbia o l’irritazione. Qui risiede il
significato del gassho”
La mano destra e la mano sinistra collegate rappresentano l’unione
dell’intelletto e del cuore, del pensiero e del sentimento, quindi unire
le mani corrisponde a riunire noi stessi, la parte destra e la parte
sinistra, la mente con il cuore, il corpo con lo spirito.
In poche parole, quando saluti qualcuno con le mani giunte stai
dicendo: “Mi inchino al Divino che è in te”, ti offro il mio cuore, non ti
farò del male e non nascondo niente.
Al contrario la stretta di mano é nata per accertarsi che il convenuto
non stia portando un’arma nella destra, per essere sicuri di non
avere di fronte un nemico.
E’ brutto da dire ma stringere la mano è un gesto nato in Occidente
a causa della scarsa fiducia nel prossimo.
L’inchino come forma di ossequio e più tardi di saluto è presente in
numerose culture, in quelle orientali è universalmente diffuso; in
Giappone assume una caratterizzazione formale durante il Periodo
Muromachi – quella lunga epoca della storia giapponese che vide
l’ascesa al governo della classe militare attraverso un succedersi di
Shogun. Intorno alla prima metà del 1600 Durante il Periodo Edo gli
Ogasawara, una potente famiglia, istruirono l’élite dello shogunato
nei sottili scambi di etichetta mediante un esauriente codice: in esso
venivano spiegati i rituali per eventi annuali, la disposizione dei
mobili, come modificare e piegare i vestiti, come scrivere
correttamente la corrispondenza, come mangiare in modo corretto,
come incartare i regali, e molto altro ancora. L’etichetta non era
semplice ostentazione, bensì un mezzo con cui il samurai poteva
muoversi in sicurezza tra gli uomini d’arme segnalando al contempo
la sua mancanza d’intenzioni ostili nei confronti di chi gli stava
accanto.
Quindi in un paese nel quale ogni cosa ha una sua precisa
fenomenologia e metodologia dove l’etichetta è estremamente
importante non poteva mancare uno specifico manuale “i Sette
Volumi dell’Etichetta Ogasawara” offrono una spiegazione autentica
sulla grazia e sull’educazione della classe guerriera.
Che l’inchino come forma di saluto e di rispetto, derivi dagli usi
della religione shintoista, o che sia stata introdotta dalla famiglia
Ogasawara a partire dal Periodo Kamakura (1185 – 1333)
attraverso una guida completa sull’etichetta sia marziale che
cerimoniale, il punto su cui tutte le teorie concordano è che l’inchino
abbia assunto in Giappone un significato più profondo rispetto ad
altre parti dell’Asia.
Inizialmente limitato alle cerimonie tradizionali e alle arti marziali, i
suoi ambiti di applicazione si sono via via moltiplicati fino a divenire
parte integrante della vita di tutti i giorni; proprio per l’importanza
culturale che ricopre, l’atto dell’inchino si presenta in diverse e per
noi, infinite varianti, ognuna con un significato a sé.
Il Giappone a mio avviso è un paese caratterizzato da un genuino
rispetto, forse, in qualche caso esagerato per i nostri canoni, un
gusto carico di decorazioni, abbellimenti, ornamenti e addobbi, su
ogni aspetto delle relazioni sociali, tendenti a ingenerare una
reazione di sincero ossequio, riguardo e a volte devozione. Un
paese nel quale Il codice di leggi che il samurai faceva proprio non
regolava soltanto il comportamento sul campo di battaglia, ma
anche l’etichetta all’interno del clan e nei confronti del
capo. Nel bushido si esaltavano, infatti, i valori che un samurai
doveva dimostrare a se stesso e pubblicamente e dalla loro
applicazione nasce quindi la sua figura “romantica”, la cui esistenza
ruotava attorno al totale rispetto dei valori di onestà, lealtà, giustizia,
pietà, dovere e onore, valori che dovevano essere perseguiti in ogni
istante della vita, fino alla morte.
Se volessimo paragonare la ricercatezza della precisione nei
movimenti il simbolismo e l’enfatizzazione del singolo atto non fine
a se stesso, ma come unione della componente fisica con quella
mentale che si fondono in una predeterminata sequenza di gesti
per raggiungere la più elevata condizione spirituale e le oltre 30
locuzioni di saluto, da quelli più formali, a quelli meno formali,
amichevoli, di lavoro , per incontri d’affari o con i colleghi, alle varie
forme di inchino, da quello in ginocchio seduti sui talloni, a quello
con 1 solo ginocchio, o in piedi con una genuflessione di 15 gradi,
30 gradi, 45 gradi, 90 gradi, con varianti se eseguito da una donna
o da un uomo, e mille altre forme di devozione e rispetto, ecco che
potremmo paragonare, ma solo per un istante queste formule di
cortesia giapponesi al nostro occidentalissimo Erasmo da
Rotterdam, grande protagonista dell’umanesimo, che esagerando
un po’ può fornirci un’idea di quanto contasse la distanza
gerarchica nella salutatio dell’ars retorica:
“Al magnifico Signore, all’aurea luce delle sette arti liberali, corona
radiosa dei teologi, eterna luce della religione, Espero dell’ordine
dei Domenicani, tesoro del vecchio e del nuovo Testamento,
fustigatore degli eretici, chiarissimo specchio di ogni eroica virtù – al
mobilissimo padrone, al Signor maestro, bacia i piedi in segno di
saluto, il più infimo discepolo e umilissimo servitore della Sua
Maestà!”
A mio avviso i giapponesi riescono ad esprimere con il movimento
del corpo quello che gli occidentali esprimono con il movimento
della lingua. In ambedue i casi il risultato è lo stesso, ma mentre nel
caso degli occidentali ciò che si vuole comunicare parte dal
cervello, nel mondo del Sol Levante parte dal cuore.

Il saluto

Il saluto è un Atto, costituito da un movimento del corpo, accompagnato da una locuzione verbale che si scambia con una persona nel momento in cui la si incontra o quando si prende commiato da lei, per manifestare rispetto, affetto, simpatia, devozione o sottomissione. Il saluto può essere anche tolto, in questo caso significa evitare il minimo rapporto con quella persona, per inimicizia, rancore o addirittura disprezzo. Il saluto, che nella civiltà moderna è una pura formalità di cortesia, rivela tuttavia un’origine religiosa. Dal punto di vista formale è una formula, mentre il suo contenuto è spesso un augurio per esempio, “buongiorno”, il che presuppone che in origine si credesse nella sua efficacia di formula magica. Altri tipi di saluto assumono la forma di una benedizione religiosa, ricorrendo al nome di Dio, per esempio “addio”. Il saluto non consiste solo in parole: la formula, com’è frequente nelle religioni, è accompagnata da gesti. Nel mondo moderno questi gesti sono l’inchino, l’atto di levarsi il cappello, o un contatto fisico (stretta di mano, bacio alla mano, abbraccio, bacio), e presentano tutti un’origine antica. I gesti di “autoumiliazione”, come l’inchino, possono risalire all’intento di dare all’altro, assicurazione della propria innocuità; ma spesso derivano invece da una generalizzazione delle forme di venerazione dovute al re divino. Le diverse formule rispondono a diversi gradi di formalità, a diversi contesti o a diversi momenti della giornata.

Ciao è la formula più confidenziale, che può essere pronunciata sia in apertura, sia in chiusura di conversazione e in qualunque momento del giorno o della notte. Questa locuzione, deriva dal latino “sclavum”, variante di “slavum” quando a essere ridotte in schiavitù erano le genti di provenienza slava. A partire dal Quattrocento si introduce l’abitudine di salutare qualcuno dichiarandosi suo schiavo, da qui la parola “ciao” che origina dal veneziano “s’ciavo”, schiavo, appunto.

Salve è un’espressione tradizionale giuntaci direttamente dal latino. Si tratta della forma dell’imperativo del verbo latino salvĒre “essere in buona salute” ed è quindi un’espressione augurale, “salute a te”, che si è fissata in una formula di saluto perdendo il contatto con il significato etimologico. Nel tempo il legame con il significato etimologico si è opacizzato e ha subito un’evoluzione semantica simile a molte altre formule allocutive di saluto come pronto, arrivederci e ciao.

Buongiorno e Buonasera sono saluti formali che possono essere usati sia in apertura, sia in chiusura di conversazione, e come già detto si tratta di locuzioni augurali, legate alla superstizione della formula magica. C’è poi “Come Stai” questa locuzione è ormai diventata una forma standardizzata di saluto. A differenza delle altre formule, questa richiede esplicitamente una risposta; se l’interlocutore non è una persona che conosciamo molto bene e con cui abbiamo una buona confidenza, il “…come stai?” è una domanda retorica che richiede una formula di risposta anche essa retorica. Se la domanda viene posta da un medico invece, non è MAI retorica ed in questo caso bisogna dire la verità.

Andiamo al linguaggio del corpo: Il gesto della stretta di mano risale a tempi antichissimi, e già in epoca remota era un simbolo di concordia universale. Se ne trovano le prima tracce archeologiche al tempo dell’antica Babilonia. Tra gli antichi greci la stretta di mano veniva definita come “δεξίωσις – dexiōsis” o “δεξιόομαι”, che significava “dare la destra”, che venne tradotta in latino come “Dextrarum iunctio”, che però indicava la stretta di mano fra gli sposi durante il matrimonio e che per questo veniva definita come “inter coniuges”

Nei poemi Omerici la stretta di mano viene descritta più volte come segno di fiducia,

La stretta di mano fra sconosciuti era probabilmente diversa da quella ”inter coniuges”; la maggior parte degli storici sono concordi nell’identificare il saluto “gladiatorio” come una stretta di mano a livello dell’avambraccio, un segno che avrebbe indicato, fra le altre cose, anche l’assenza di armi nascoste, e che veniva fatto fra soldati ma anche nella società civile. Quindi la stretta di mano non è altro che un atto di fiducia nei confronti dell’interlocutore, quando si incrociavano due persone si concedevano a vicenda la mano destra come segno che non brandivano l’arma e che non avrebbero attentato all’altrui vita. Alcuni storici ritengono che la stretta di mano sia tornata popolare grazie ai quaccheri del XVII secolo, i quali consideravano la stretta di mano un’alternativa più egualitaria rispetto all’inchino o al togliersi il cappello. Il saluto con la mano divenne in seguito un gesto comune e, nel XIX secolo, i manuali di etichetta spesso includevano linee guida per la corretta tecnica della stretta di mano. Una guida del 1877 consigliò ai suoi lettori che “un gentiluomo che preme brutalmente la mano che gli offre il saluto, o che lo scuote con troppa violenza, non dovrebbe mai avere l’opportunità di ripetere la sua offesa“.

Nel mondo occidentale sovente, ci si saluta scambiando baci. Il numero di baci può però differire, a seconda del paese infatti possono essere, uno due o tre; ad esempio In Russia, era molto diffuso il bacio sulle labbra fra uomini.

Il bacio è una forma di contatto fisico fondamentale fra due persone, per ciò assume diverse caratteristiche a seconda del contesto, diventando quindi in molte culture una comune forma di espressione di affetto, di amore, passione, amicizia, rispetto, o di saluto. Gli antropologi sostengono che il bacio deriverebbe dall’uso della madre di passare piccoli bocconi alla prole in fase di svezzamento, quindi un atto di fiducia incontestabile.

In alcuni ambienti o in particolari cerimonie è ancora possibile assistere al baciamano, che consiste, da parte di un uomo, nello sfiorare appena con le labbra il dorso della mano di una signora. Il baciamano, come segno di sommissione a sovrani e a signori, fu in uso sin dall’antichità. Ne abbiamo una bella descrizione nell’Iliade dove Priamo, supplicando Achille di restituirgli il cadavere di Ettore, gli bacia le mani.

Nell’antichità era un segno di devozione dedicato solo a vescovi e sacerdoti. Ad Indicare proprio la devozione del cavaliere per la sua dama viene ancora considerato un gesto di estrema cortesia e rispetto.

Una menzione particolare merita il saluto militare Durante il Medioevo in Europa i soldati indossavano le armature, elmi compresi, e per farsi riconoscere dai propri superiori o dai loro stessi alleati si portavano la mano sulla fronte nell’atto di alzare la celata, ossia la visiera dell’elmo. Tale gesto rimase in uso anche dopo la dismissione delle armature e degli elmi classici.

Un’altra versione riferisce che il gesto di portare la mano al capo richiami quello dei cavalieri medievali che, prima di affrontare l’avversario, chinavano la visiera, anche in omaggio al nemico che avevano di fronte: Ancora oggi, nell’esercito italiano durante il cosiddetto “saluto al basco” la mano si tiene rigidamente distesa ma leggermente inclinata in avanti, proprio a richiamare la visiera dell’elmo che si chiude.

In onore dei centauri, vorrei parlarvi anche dei saluti del motociclista:

sono il frutto di una tradizione antichissima, che risale persino ai tempi dei cavalieri.

Il primo, e il più importante di essi, è un semplice segno di saluto nato negli anni ’70. Questi avviene con l’utilizzo della mano sinistra, le dita indice e medio, vengono portate a formare una “V”. Questo saluto cambia durante un sorpasso: la mano viene lasciata sul manubrio della moto, mentre è il piede destro ad alzarsi leggermente per salutare il sorpassato. In città poi viene spesso e volentieri utilizzato solo un cenno con la testa, per non rischiare di fare incidenti. Se poi si incontra una moto il cui faro lampeggia, è perché vi è una qualche sorta di pericolo in avanti (ad esempio un autovelox). In tal caso è meglio fare più attenzione!

In conclusione:

ai tempi del coronavirus, salutare o non salutare?

Forse possiamo provare a cambiare le nostre abitudini, magari possiamo mutuare da altri qualche forma di saluto

In India, anziché stringersi la mano, sono tornati al saluto tradizionale: “Namaste“.  a mani giunte e con le dita all’insù: Namaste. “È più igienico, è amichevole ed equilibra le tue energie”

In Cina, a due metri di distanza, le persone fanno il tradizionale gesto del gong shou, un pugno nel palmo opposto per salutare.

I tibetani hanno uno dei gesti tradizionali più insoliti per salutare gli altri: sporgono la lingua, anche se sempre a distanza di sicurezza.

Il contatto fisico, di cui si hanno varie forme (per es., contatto dei nasi presso gli Inuit e i Melanesiani), purtroppo non sarà più possibile utilizzarlo fino a quando il virus non sarà debellato definitivamente.

In Giappone tutti i rapporti umani sono basati su una gerarchia nella quale la posizione di ciascun individuo è determinata da diversi fattori, come l’età, il lavoro, l’esperienza, oltre che dal contesto sociale della conversazione. Tale aspetto si riflette anche sui saluti. Ci sono diverse formule, che variano a seconda della confidenza con cui si sta parlando e dal momento della giornata.

L’inchino è una tradizione importante in Giappone. Le persone lo usano comunemente per salutarsi; gli uomini e le donne si inchinano in modo diverso – gli uomini solitamente tengono le mani lungo i fianchi, mentre le donne avvicinano le mani appoggiate sulle cosce, con le dita che si toccano.

  • Inchino a 15 gradi. Si tratta dell’inchino più informale. È usato per gli incontri casuali, per esempio se stai andando di corsa al lavoro e vedi qualcuno che conosci o se incontri un amico per strada.
  • Inchino a 30 gradi. Il tipo più comune di inchino è eseguito con un angolo di 30 gradi per salutare un cliente o ringraziare qualcuno. Usato spesso negli ambienti di lavoro, non viene usato agli eventi formali.
  • Inchino a 45 gradi. Si tratta dell’inchino più formale. Indica una gratitudine profonda, un saluto rispettoso, una scusa formale, la richiesta di un favore e così via.

L’inchino è accompagnato da una formula verbale, che vi risparmio, infatti ve ne sono circa 30, ma quelle più usuali sono una decina

Si potrebbe anche prendere in considerazione il cosiddetto “east coast wave”  proposto dalla prima ministra neozelandese Jacinda Ardern, nel quale si mima a distanza una stretta di mano con relativo squotimento, ma nulla è più intenso, carico di pathos e liberatorio del Saluto Vulcaniano di Star Trek “ Lunga Vita e Prosperità”